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Nota alla decisione n. 4876 del 08 maggio 2017 del Collegio di Torino dell'Arbitrio Bancario e Finanziario.

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Nel caso oggetto di decisione del Collegio di Torino dell'Arbitrio Bancario e Finanziario, la ricorrente possedeva un Buono Fruttifero Postale di Lire 2.000.000, emesso in data 17 ottobre 1986, quindi successivamente all'uscita del Decreto Ministeriale del 1986. 

La stessa, quindi, si rivolgeva al Collegio (sistema stragiudiziale di risoluzione delle controversie) per vedersi riconoscere un importo equivalente a quello previsto dal Buono stesso (quindi calcolato sulla base degli interessi riportati nella tabella in esso riportati). 

La resistente Poste Italiane eccepiva, innanzitutto, che l'Ufficio Postale aveva tenuto una condotta conforme rispetto alle previsioni del D.M. del 13 giugno 1986, indicando chiaramente la serie di appartenenza del Buono, sicchè non poteva essersi ingenerato alcun affidamento in capo al ricorrente. 

Inoltre, eccepivano che i Buoni, in virtù della loro natura di titoli di legittimazione, sottostavano alle norme imperative che li disciplinano anche in difetto di un espresso richiamo nei documenti cartacei. Per finire, evidenziavano che la possibilità di variazione dei tassi risultava sancita dall'art. 173 del Codice Postale.

Nel decidere la controversia suddetta, e richiamando ampi precedenti conformi, il Collegio - nella parte in diritto - ricorda come, nelle ipotesi in cui il Buono sia stato emesso successivamente al giugno 1986 (quindi dopo l'entrata in vigore del D.M. 1986)nei confronti dell'investitore si sia creato un legittimo affidamento in ordine all'applicabilità dei tassi riportati sul titolo stesso. 

Alla luce di ciò, il collegio decidente ha accolto il ricorso e ha, per effetto, disposto che le Poste Italiane riconoscano le disposizioni contrattuali (maggiormente favorevoli) riconosciute sul titolo stesso. 

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Note alla sentenza del Tribunale di Larino del 30 luglio 2019

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Il Tribunale di Larino offre spunti interessanti in tema di Buoni Fruttiferi Postali, laddove, con motivazione lapidaria, ha sancito l'obbligo delle Poste di procedere alla liquidazione di un Buono di serie Q/P secondo le condizioni apposte sul retro del titolo. 

Mette contro osservare che il Tribunale è pervenuto a tale decisione a seguito di motivazione che si è soffermata, in un primo tempo, sull'analisi di altri buoni in possesso dell'investitore, in riferimento ai quali è stata sancita la legittimità dello ius variandi esercitato dall'amministrazione. 

Tuttavia, una volta pervenuto all'analisi del buono di serie Q/P, il Tribunale, facendo specifico richiamo all'art. 5 del Decreto Ministeriale del 13 giugno 1986, ha ricordato come ai sensi della citata disposizione spettasse in capo alle Poste l'onere di aggiornamento completo dei Buoni di serie P emessi successivamente all'entrata in vigore del Decreto istitutivo della serie Q. 

In presenza di un aggiornamento incompleto, infatti, il titolare dei Buoni Fruttiferi Postali ha pieno diritto al riconoscimento delle condizioni previste dalla tabella originaria posta sul retro, per la parte non diligentemente aggiornata. 

In modo lapidario, invero, osserva il Tribunale: "le Poste, in sostanza, con riferimento al periodo successivo alla scadenza del ventesimo anno, non hanno riportato a tergo del titolo i nuovi tassi fissati dal decreto ministeriale, ma hanno riportato invece tassi più favorevoli all'investitore. 

Per tali ragioni, le Poste sono state condannate a corrispondere al risparmiatore quanto dovuto in base alla tabella originariamente sottoscritta. 

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Note alla sentenza della Corte di Appello di Venezia del 01 luglio 2019

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Prima di procedere con l'analisi della sentenza, è bene partire dagli antefatti: alcuni risparmiatori, titolari di buoni di serie AB/AA sui quali era stata stampigliata una tabella che richiamava la serie P/O, ottenevano una vittoria giudiziale nei confronti di Poste Italiane presso il Tribunale di Belluno.

Tale ultimo Tribunale, tuttavia, errava nella determinazione dell'importo da corrispondere. I risparmiatori proponevano appello attraverso tale pronuncia, censurando l'errore compiuto dal Giudice di prime cure. Poste Italiane proponeva invece l'impugnazione incidentale.

Con sentenza del 09 ottobre 2013 la Corte d'Appello accoglieva l'appello incidentale delle Poste, rigettando l'appello principale proposto dai risparmiatori e condannandoli a restituire quanto ricevuto da Poste Italiane in virtù della sentenza di primo grado. 

La Corte d'Appello, in particolare, accoglieva l'eccezione di prescrizione sollevata dalle Poste, ritenendo prevalenti le disposizioni di cui al D.M. 16 giugno 1984 (giusta la letteralità del titolo) rispetto a quanto previsto dai timbri che indicavano l'appartenenza dei Buoni alla serie P/O. 

Va considerato, infatti, che i Buoni di serie AA/AB sono una serie a termine di Buoni, con una durata di soli sei anni. Conseguentemente la prescrizione è di dieci anni dallo scadere dell'ultimo anno solare in cui il buono produce interessi. Avendo la Corte qualificato i Buoni quali appartenenti alle serie AA/AB, dunque, il diritto dei sottoscrittori del Buono doveva considerarsi prescritto. 

Nonostante lo sfortunato esito del secondo grado di giudizio, i risparmiatori proponevano ricorso presso la Corte di Cassazione, la quale cassava la sentenza con rinvio alla Corte d'Appello di Venezia, in diversa composizione. 

Nel motivare le ragioni di tale provvedimento, la Suprema Corte evidenziava che la Corte d'Appello di Venezia avrebbe dovuto: "procedere ad una valutazione del dato testuale, considerando se la menzione della serie P/O ed il riferimento alla progressione temporale dei tassi di interesse fosse o no, nel quadro del complessivo contenuto del titolo, ed inconsiderazione delle prescrizioni imposte dal decreto, da ritenere univocamente decisiva, scrutinando altresì la ricorrenza dei presupposti per l'eventuale applicazione della previsione dettata dall'art.1342, primo comma, c,c., concernente la prevalenza delle clausole aggiunte al modello o formulario".

Per effetto di detta decisione, dunque la causa tornava alle cure della Corte d'Appello di Venezia in altra composizione. Quest'ultima Corte, facendo applicazione dei principi di diritto dettati dalla Cassazione, decideva di conferire rilevanza al timbro posto sul retro dei Buoni, che indicava l'appartenenza dei medesimi alla serie ordinaria P/O, i quali riportavano l'indicazione dei tassi sino al ventesimo anno. 

E tale decisione non poteva che influire sulla prescrizione dei Buoni, atteso che per le parole stesse della Corte: "non ha senso che la prescrizione cominci a decorrere dal nono anno di emissione quando invece i Buoni continuano a produrre interessi fino al ventesimo anno".

Un tanto consentiva alla Corte di escludere la ricorrenza della prescrizione, dovendo essa calcolarsi (con termine decennale) dalla scadenza dei Buoni. Per tali ragioni, la Corte, definitivamente decidendo in qualità di giudice del rinvio, condannava le Poste Italiane al pagamento in favore dei titolari dei Buoni i tassi come previsti dalla tabella di serie P/O stampata a retro, ovvero 9% fino al terzo anno, 11% dal quarto all'ottavo anno, 13% dal nono al quindicesimo anno e 15% dal sedicesimo al ventesimo anno, oltre gli interessi legali dal ventunesimo anno al saldo. 

 

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Note alla sentenza del Tribunale di Catania del 18/11/2016 Procedimento AD RG. N. 6430/2016.

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L'orientamento espresso del Tribunale di Catania con la sentenza in commento si pone sul solco già tracciato dalla giurisprudenza di merito e arbitrale, sancendo la prevalenza delle condizioni apposte a tergo del Buono Fruttifero Postale rispetto a quelle, diverse ed inferiori, che Poste Italiane riteneva applicabili. 

Mette contro osservare che Poste Italiane, per evitare la condanna, ha svolto in causa una sola eccezione di merito, con la quale osservava di avere emesso nel 1987 un titolo di serie P solo per mero errore, atteso che tale serie non era più vigente dal 1984 e che in conseguenza l'unica fonte di regolamentazione in tema di rendimenti doveva essere il D.M. istitutivo dei Buoni Fruttiferi di serie Q.

Il Tribunale adito, però, rigettava la doglianza osservando che sebbene i Buoni Fruttiferi non sono titoli di credito, ma titoli di legittimazione, e benchè essi potessero subire una modifica peggiorativa in virtù dell'allora vigente art. 173 del Codice Postale, ciò non autorizzava affatto le Poste a svalutare totalmente la rilevanza delle diciture riportate sui buoni stessi allorquando in corso di rapporto non fosse intervenuto alcun decreto ministeriale modificativo del tasso d'interesse.

Inoltre, il Tribunale evidenziava che era un preciso onere delle Poste emettere titoli già perfetti nella loro interezza e non ingeneranti dubbi. Nel dipanare le criticità sollevate dall'eccezione delle Poste, il Giudice si soffermava altresì sulle caratteristiche precipue dei Buoni Postali, quali l'essere oggetto di emissione in serie e, soprattutto, la destinazione rivolta ad un numero indeterminato di risparmiatori. 

Caratteristiche le quali impongono che vengano riportati sul titolo i dati reputati essenziali all'informazione del sottoscrittore. Per tali ragioni, la domanda del risparmiatore viene accolta, e le Poste venivano condannate al pagamento dell'importo risultante dalle prescrizioni contenute sul Buono Fruttifero Postale. 

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